Luigi Barzini, scriveva, quarant'anni di fa, per spiegare il fascino dell'Italia nel mondo e la «pacifica invasione» dei turisti:
«L'arte di vivere, quest'arte screditata creata dagli italiani per sconfiggere l'angoscia e la noia, sta diventando una guida inestimabile per la sopravvivenza di molte persone».
E' ancora così.
L'Italia quotidiana - soprattutto se uno non ci deve lavorare - piace e convince. Nel nostro Paese tutti si sentono qualcuno; e, giustamente, reclamano attenzione.
Permettimi di citare un passaggio dal mio «La testa degli italiani» (negli Usa, «La Bella Figura. A Field-Guide to the Italian Mind», out Aug 15). Scrivo, verso la fine:
«Un negoziante amichevole sotto casa compensa una notizia spiacevole in televisione. Ecco perché nelle classifiche sulla qualità della vita precediamo Paesi come gli Stati Uniti, la Francia o la Germania: perché le consolazioni artigianali valgono quanto le organizzazioni industriali. Certo, nel prodotto interno lordo non risultano: ma nella contabilità personale si vedono eccome. (...) In Italia conosciamo il piacere della conversazione, e il gusto dell'osservazione personale: l'apprezzamento su un abito è gradito, altrove sarebbe sospetto. In Italia le famiglie difendono il rito dei pasti; e i ragazzi stanno riscoprendo quello, non altrettanto fondamentale, dell'aperitivo. In Italia chi lavora è riuscito a trasformare in una cerimonia anche l'abitudine più breve: il caffè espresso bevuto in piedi in un bar».
Secondo te, queste cose non sono importanti? Secondo me, sì. Certo, se fossero abbinate ad affidabilità, onestà e organizzazione sarebbe meglio: in questo caso, diventeremmo una sorta di paradiso in terra. Invece siamo un purgatorio colorato, pieno di interessanti anime in pena.
By Luigi Severgnini