Too much HOW for the WHAT!

I attended the Dialogue Education Institute conference in Chapel Hill last week where I had the privilege to embark in an exciting learning journey on Dialogue Education with a group of incredible human beings.
During those days I jotted down some memorable quotes in my journal.



On the need for teacher's integrity:
“The hurt of a teacher is more damaging than the hurt of a farmer!”

On discovering Jane’s work and finally being able to express previously intuitively held concepts: “There is language for this!”

On identity: “I am a natural learner. It comes from my own needs”

On a book to be written for teachers: “How to avoid answering an open question”

On reflection: “How do we think about what we do and whether we think it or not?”

On the difficulty in doing learning needs assessment: “How do you assess the need that is not expressed?”

On having fun when learning: “Is content an excuse to get together?”

On the work of the teacher: “All we do is unfreezing!”

On dealing with the ‘Professor’: “Ignore the teacher. It will go away!”

On the need for action: “Unless we do it, we are not doing it”

On the real work of the teacher: “We do not teach Math, we teach people”

On a possible label for Dialogue Educators: “The positive deviants”

On learning objectives set up by the ‘Professor’: “At the end of the course… you will know what this course is all about!”

On autonomy: “How can students be subject of their own learning if all we ask them to do is following our instructions?”

On Teaching and talking: "I got the privilege to be the Big Mouth"

On Peace: "If you want to be my enemy you have your work cut out for you"

On Dialogue Education: “Dialogue Education: the artful dance between flow and structure in the building of shared meaning”

CONSENSO e PARTECIPAZIONE: conversazione con un amico

Carissimi,

Per quanto riguarda il moderatore esterno io lascerei perdere, soprattutto se gli altri non si sono ancora dichiarati favorevoli.
Credo che l'intrusione di un esterno possa inibire o rendere ancora meno partecipata la discussione, che secondo me deve restare a livello di una chiacchierata fra amici. Le opinioni sul che fare(?) devono fluire spontanee e appassionate, devono dare la misura della differenza e divergenza, nonche' delle possibili convergenze.

Solo cosi' infatti si potrebbe riuscire a costruire qualcosa di valido e partecipativo, ma non deve essere un dramma se tutte queste chiacchiere si dovessero concludere con un nulla di fatto: amici come prima, anzi piu' di prima.

E' per questo che penso che il moderatore deve essere uno di noi e xxxxxx resta il mio candidato. Gli suggerisco di organizzare gia' le domande in maniera evolutiva concedendo un tempo preciso e limitato per le risposte (compresa la sua).
Dovra' inoltre proibire ed evitare le interruzioni, evitare o tenere a freno gli eccessi verbali dei piu' agitati e tenere conto dell'evoluzione del dibattito per 60 minuti.

Le valutazioni circa le possibilita' di giungere ad una conclusione unitaria, come sulla possibilita' di giungere alla costruzione di un gruppo omogeneo che lavora insieme su un progetto comune non possono essere delegate o lasciate ad un moderatore esterno, come non possono essere lasciate solo a xxxxxxx.

Buona notte a tutti.


LA MIA REPLICA

Spontanee e appassionate? Come l'altra volta? Ma si, una bella chiacchierata tra amici. Porto io i tarallucci e il vino...

"L'intrusione di un esterno possa inibire" ? In che senso? I piu' agitati? Il facilitatore non e' un maestro di scuola che fa la lista dei buoni e dei cattivi ma un professionista che crea le condizioni migliori per aumentare la partecipazione. Ti posso consigliare di leggere qualche articolo da questo sito?
http://www.iaf-world.org/i4a/pages/index.cfm?pageid=1

Il gruppo non sta preparando una chiacchierata fra amici. Guarda che per la maggior parte dei partecipanti - me incluso - gli altri membri sono qualsi estranei, visti una volta o due. Forse parli per te. E gli altri?

"XXXXXX resta il mio candidato": quando non siamo d'accordo - perche e' evidente che non lo siamo - scatta subito il meccanismo del voto invece di quello della ricerca del consenso. Perche? Non so se ho ragione e credo che ognuno abbia un pezzo di verita'. Io non sono interessato ad avere ragione, solo ad esplorare insieme quale sia la cosa piu' giusta.

Ho fiducia. Ma devo dirti che trovo ridicolo - a 3000 km di distanza - continuare questo modello "conflittuale" a colpi di mozioni e di "votazioni - muro contro muro" con lo spettro dello scioglimento, visto che metti sempre in dubbio "la possibilita' di giungere ad una conclusione unitaria".

Io sono per il dialogo. Un gruppo di 10 persone che condividono la stesse idee politiche che vivono a Washington, che hanno un minimo di buon senso e di buona educazione, possono mettersi d'accordo.

XXXXXX e' il mio candidato? Credevo fosse una conversazione... tra amici. Ma non c'e bisogno del voto: visto che XXXXXX si e' offeso, il facilitatore non l'ho piu' chiamato.

Adriano Pianesi


CONTRO REPLICA

Caro Adriano,

voglio rispondere alla tua "provocazione" non solo per la piccola divergenza d'opinione sul moderatore/facilitatore, ma soprattuto per informarti che ho recepito il tuo messaggio, nonche' per darti il segnale piu' chiaro possibile che ho capito benissimo la tua decisione e volonta' di fare del tutto per far funzionare il nostro gruppo.

Tuttavia, credo che il facilitatore non possa fare molto per favorire l'amicizia e per far maturare il consenso, soprattutto se qualcuno ritenesse che non e' il caso di accettare mediazioni e compromessi.

Al nostro livello il consenso deve arrivare spontaneo. Inoltre, ognuno e' libero pensare e decidere su cosa vuole fare. E, noi, soprattutto in questo caso, dovremmo rispettare chi non vuole o non se la sente di aderire ad un'iniziativa di cui non e' convinto.

Un abbraccio.

RISPOSTA ALLA CONTRO REPLICA

Carissimo;
Grazie della tua mail. Si, la pensiamo diversamente. Hai visitato il sito che ti ho mandato?
Il facilitatore non ha il compito di "favorire l'amicizia" (ma a mio avviso l'amicizia in un meeting non c'entra. E' come fare un business con un amico: o finisce l'amicizia o il business!).

A mio pare il consenso non e' dato una volta per tutte. Io credo che chiarendo le ipotesi e i fatti, le esperienze di ognuno sia possibile arrivare - se non a cambiare opinione - a capire le prospettive di chi non la pensa come me. Credo che questo crea le condizioni per trovare un accordo.

"Al nostro livello il consenso deve arrivare spontaneo." Questo io non l'ho mai sperimentato nella mia vita. Mi piacerebbe saperne di piu' della tua esperienza di CONSENSO SPONTANEO.
Nel nostro gruppo ho notato che tutti hanno un’opinione su tutto - prima di cominciare a parlare - che ritengono la piu’ giusta. Un'altro modo di chiamarlo e' PREGIUDIZIO. Ho notato pure molta diffidenza.

Il rispetto di chi vuole uscire o la liberta' di farlo non e' mai stato in dubbio. Lo e' il "come" creare le condizioni perche' questo non succeda:
A tuo parere non abbiamo modo di influire ed il risultato puo’ essere l’uscita di alcuni.
A mio parere invece si puo’ evitare l’uscita attraverso lavoro di gruppo produttivo e strutturato che mantenga il paradosso della maggiore struttura possibile per creare ...spontaneita'.

Scusami per la lunga mail.
In spirito di collaborazione

Adriano Pianesi

Friends, Mafia and Values a.k.a. You are wrong!

What is the utimate test of character? When things are fine and when they are not? What is really worth sacrifice? Are we alone or we belong? Are we to search meaning or happiness, or what? Here is a story for you, my friend! Hope it helps you figure it out.

Will is the marshall of a small western town in 1870. He’s just retired and he is waiting for the new marshall to get into town. He has been waiting for a week now but no news has come from the district office of Abilene about when Dan, the new marshall, will get in town.

Will is getting married to Amy. They are planning to move to another town, open a small store and have a family.

In the middle of their wedding party, word comes that Mitch - a killer Will sent to jail - has been pardoned by Judge Roy and is due to arrive in town on the train at noon.

Amy is a quaker and hates violence. She wants her husband to leave town with her before the killer arrives. “You should think about what is at stake here, Will” she said to Will in her wedding gown. “I can not help you: it is against my religion to use violence”

Bob, the city mayor is advicing against the decision to create a posse to defend the town: “They are only after Will. If he leaves town no blood will be shed and we will be safe. Will, this is the new marshall problem’s not yours”.

“I believe I will be leaving town as a precautionary measure” said Judge Roy hearing that the killer was to be in town.

Will asked Frank, his closest friend to help him. “There will be no shame in leaving” said Frank, “You have already turned your badge last week. This is the best advice I can give and the best I can do. I have a family.”

It’s 10:40 a.m. The train platform is deserted except for some of the killer’s cohorts, who are waiting for him to arrive. Together they plan to kill the marshall. Will has no chance, and there is no one left in town to help.

In case he gets killed, how would you rank the responsibility of all the characters in this story?

Audience Analysis

In the training company where I used to work, at the beginning of a three-day class we asked participants to put themselves in one of three
categories—a prisoner, a vacationer, or a learner, based on how they view themselves relative to the session.

A prisoner is someone who has been sent by management and personally doesn’t see the need to attend.

A vacationer is the person who says, “I can chill out in this class! I really don’t need to work. I’ll just come to the workshop and do other
work.”

A learner, on the other hand, is someone who truly desires to gain new skills and knowledge and grow personally and professionally.

It happens sometimes that all the participants are prisoners and do not want to be there (sounds familiar?).

Here are a few points that can help you manage a class of “prisoners”:
§ What may have caused the workshop participants to all feel like prisoners?
§ What could you have done earlier in the workshop to get people to be willing to engage?
§ What do you need to make clear to others so that they can choose whether or not to engage in a training session?

When you have a resistant audience you need to name what’s going on in the room and tell the truth about how you are experiencing it.

You also need to give people choices. In my experience, when given a choice about applying themselves, most people are “willing to work”because they want to do what’s right.

Training Checklist

TRAINER’S CHECKLIST

o Informed Manager about training initiative.
o Identified how many people need training.
o Decided how we are giving them training (Classroom session, Small groups Demo, One-on-One, Selfinstruction, etc…).
o Selected Lab exercises to teach.
o Send an e-mail to all people attending the training to inform them of the session’s time/place.
o Collect Labs booklets needed for session.
o Reserved room for classroom session or set up space for one-on-one (pulling one chair may not be
enough!).
o Verified User ID to use in the training.
o Tested links and user ID in the room before class (possibly not the same day of training).
o Brought markers, posters and training materials in the class.
o Prepared poster for questions I am not able to answer.
o Left “controlling” attitude behind and shifted into a “giving” attitude.

Talking ain't Training

Which of the two scenarios will you follow when you train for Systems Training
in your office?

In one image, an instructor using a PowerPoint presentation focuses on the overhead,
reading it verbatim and adding a few personal comments. With military precision he repeats
the drill, proceeding to the next overhead -- about 50 times.
As half of the 20 participant's eyes glaze over, the presenter rambles on. He seems to be
addressing his projector -- not us. A book – you would say, give me a book or some good
documentation to read, I would learn as much as I am getting from this.

In the other image, a smiling instructor energizes the group with simple, open questions
that stimulate thought and generate generous discussion.
In opening a topic she asks, "What does this word, (or concept) mean to you?" "Why is this
subject important to you?" She ends segments with "How can you use this information back
at work?" Relevant, interactive, engaging -- these are a few of the comments we write in our
post-course evaluations.

Both presenters are obviously intelligent. They know their subjects cold.
Caring people, they seem driven by a passion to share their knowledge with
us. Clearly, both have spent long hours preparing their materials.
Trouble is -- the first presenter does not reach his audience. Good intentions
are buried under a stack of carefully-worded PowerPoint slides. "Teachingoriented"
is to "tell" the class what the teacher knows.

In the second scenario, "Learning-oriented", the instructor leads learners on
the first leg of a journey. She helps her audience identify their personal
relationship to the subject -- identify "what is in it for me." Or how can I use
this information in my work?